21 gennaio 2011

Retàte

Stavolta sembra proprio che li abbiano incastrati.

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29 dicembre 2010

Good news

Nel fine settimana l'Economist, con l'articolo sulla vita che ricomincia a 46 anni. Oggi il servizio del Corriere della sera, a pagina 36, sull'esordio promettente di alcuni scrittori "maturi". Chi ha detto che i giornali danno solo cattive notizie?    

13 luglio 2009

Privatizzatela

L’attacco di un deputato del Pd membro della commissione di vigilanza radiotv al vaticanista del Tg3 e il “richiamo formale” impartito dal direttore della testata Antonio Di Bella al suo redattore, reo di aver usato metafore irrispettose (maldestramente, a leggere la trascrizione – ma questa è altra colpa da quella che gli viene addebitata) in un servizio sul Papa, dimostra una volta di più che per sottrarre la Rai all’influenza dei partiti e all’autolesionismo conservatore dei suoi giornalisti non c’è riforma che tenga. Nessun board o consiglio di sorveglianza, ancorché gremito di saggi ed esperti indipendenti, può garantire un cambio di rotta. Per restituirla alle regole della corretta informazione e a una gestione sana ed efficiente, la Rai va privatizzata. Lasciando allo Stato solo un canale, senza pubblicità e senza canone, per le trasmissioni culturali e di interesse pubblico
Dopo la nomina del presidente, del capoazienda e del direttore del più seguìto telegiornale, il governo e i partiti non riescono ad accordarsi sulle altre caselle da riempire. In un clima simile, tutti i direttori (e gli aspiranti) sono costretti a mimetizzarsi (o a farsi vedere troppo) per avere qualche chance di conferma o di promozione. Capita così che Di Bella - pure artefice in questi anni di un buon notiziario - debba ricorrere a una specie di tric-trac rumoroso e inoffensivo, il plateale esercizio dell’azione disciplinare, per non urtare un pezzo della parte politica da cui dipendono le sue aspettative di carriera. Dimostrando che il direttore di una testata Rai finisce per comportarsi sempre nello stesso modo, quando è sub iudice e quando è stato appena nominato, come è accaduto al Tg1. E che, nell’azienda televisiva pubblica, non ci sono santi ed eroi.

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13 maggio 2009

Democrazia a rischio

Mentre Radio Radicale trasmette le ultime fasi del dibattito parlamentare sul ddl sicurezza, gli occhi cadono su questo passo dell'intervista di Paolo Segatti con Juan Linz pubblicata nell'ultimo fascicolo del Mulino:

"Ci possono essere politiche nazionalistiche che limitano l'immigrazione e in qualche modo cercano di rallentare l'integrazione degli immigrati. Può essere che il multiculturalismo vada fuori moda. Ma ... sono politiche che possiamo definire antidemocratiche? Forse sono politiche non liberali o non ispirate ad un liberalismo progressista. Ma questo significa che i governi non sono più il risultato della libera scelta da parte dei cittadini in elezioni libere con libertà di opinione e di competizione? Non lo credo. Dobbiamo al riguardo essere molto chiari.
Un regime democratico non implica un modello definito di public policy. Ci possono essere molte differenti public policies. Alcune le potremmo considerare meno desiderabili di altre. Ma sarebbero sempre public policies che verrebbero decise da governi democratici sulla base di procedure democratiche. Penso che sia un grande passo andare dalla critica di certe politiche che possono non piacerci al dire che queste politiche sono non democratiche o che la democrazia è a rischio. Forse non il tipo di democrazia che ci piace o il tipo di democrazia che abbiamo conosciuto. Ma si rimane comunque entro un regime democratico".


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18 marzo 2009

Massimo rispetto


A Roberto Saviano, che ricorda don Diana a quindici anni dall'assassinio. E a Repubblica, che lo ospita in prima pagina.

16 gennaio 2009

The West Wing


Il vecchio uomo delle pulizie che disse a Karl Rove "honor this House" mentre gli svuotava il cestino delle cartacce alla fine della prima lunga giornata di lavoro nello staff di George Bush alla Casa Bianca sembra la scena già pronta per un film o una serie tv.

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08 gennaio 2009

Watson for president


Anche se rischia di prefigurare la solita battaglia di minoranza, questa è proprio una bella notizia.

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02 gennaio 2009

Non gioco più. Me ne vado

Come a Caserta due anni e mezzo fa, anche a Forlì la parte di Pd che ha perso le primarie non vuole starci e sembra che stia lavorando alla formazione di una lista alternativa a quella di Roberto Balzani, lo storico repubblicano che si è guadagnato, con una battaglia aperta e limpida contro l'establishment cittadino e gli apparati di provenienza Ds e Margherita, il diritto di candidarsi a sindaco della città alla testa delle forze progressiste. Gli sconfitti dicono che Balzani l'ha spuntata perché è stato sostenuto dalla massoneria e danno la colpa al regolamento delle primarie. Che sarebbe stato un capolavoro di scienza giuridica e un eccezionale strumento di partecipazione, se solo avesse vinto il candidato designato dalle oligarchie.

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15 dicembre 2008

Il caso Brunetta

Renato Brunetta è ormai un caso di studio politico. La misura di un peso sproporzionato alla caratura convenzionalmente attribuita all’incarico svolto è rilevabile, per il ministro della funzione pubblica, con una ricerca d’archivio. Dall’8 maggio scorso (data di giuramento del governo) il Corriere della sera lo ha citato 496 volte, al quarto posto tra i ministri più presenti nelle pagine del giornale, dietro solo a Berlusconi, Tremonti e Maroni. L’ubiquità brunettiana non si deve solo a un’applicazione particolarmente riuscita delle moderne tecniche di spin, quanto alla pratica sistematica di un’azione politica e di una presenza nel dibattito pubblico che non riconosce domini riservati di titolarità ministeriale esclusiva. La discussione sull’età di pensionamento delle donne è un’altra declinazione di questa pratica, con lo spiazzamento di almeno tre ministri con competenza diretta nella materia (economia, lavoro e pari opportunità) e l’ormai puntuale autocollocazione al centro della scena.
Nella costruzione della sua immagine pubblica, Brunetta è un caso esemplare di contaminazione tra l’efficacia percepita del lavoro politico issue-oriented e l’organizzazione febbrile di una rappresentazione continua, dalle misure di successo, come la battaglia contro l’assenteismo negli uffici pubblici, alle scaramucce con chiunque capiti a tiro di polemica (la Cgil, D’Alema, i due giovani contestatori napoletani di San Gregorio Armeno), alla trasformazione di una campagna denigratoria in strumento di comunicazione (l’istituzione del premio alla vignetta più simpaticamente antibrunettiana), all’impiego dell’iperbole da talk show (l’autoinclusione nella lista degli economisti candidati a un sicuro Nobel, disertata solo per eccesso di spirito di servizio).
L’arma più politica di tutte rimane tuttavia l’invasione di campo reiterata e orgogliosamente rivendicata, perfino se allo straripamento reagisce non il collega danneggiato, ma un terzo particolarmente coriaceo. Come è accaduto a ottobre, quando il titolare della Funzione pubblica dice che il Parsifal inserito nel cartellone del San Carlo di Napoli è «opera dai costi eccessivi» e l’eruditissimo Paolo Isotta lo crocefigge dal Corriere («Ma codesto Brunetta quali studi ha fatto? Come misurare il suo livello di cultura? Che cosa legge oltre ai fumetti?»). Senza fiaccare la resistenza del ministro, il quale anzi replica che «l’elevato animo di pochi pretende di finanziarsi con i soldi di tutti, che, per giunta, devono stare zitti altrimenti si segnalano come ignoranti».
Il Brunetta di oggi è il frutto di un lungo apprendistato trascorso tra la vocazione accademica e le sirene della politica, e il suo è anche un modo molto sui generis di vivere la transizione dal milieu dell’alta consulenza alla politica in proprio, destino che nel governo Berlusconi lo accomuna agli ex socialisti Tremonti Sacconi Frattini, ma con il tratto distintivo del talento comunicativo primordiale e del rifiuto programmatico dell’operare discreto o della mimetizzazione come opzione puramente autoconservativa. E il giornalismo di opinione mainstream, lungamente frequentato anche dalle pagine del Sole 24 Ore, si mescola, nella sua biografia, alla divulgazione corsara dei pamphlet di battaglia promossi con Libero e Vittorio Feltri.
Questa attitudine espansionistica e interventista, da meccanica dei fluidi applicata alla politica, candida naturalmente Brunetta - nell’immobilismo silente e difensivo, molto prima repubblica, dei suoi colleghi di governo - al ruolo di catalizzatore di un riformismo ottativo. Con il non irrilevante corollario che proprio tutta questa visibilità industriosa rende complicato qualunque disegno, tra i suoi, di sbarazzarsene senza fare rumore.

(Questo post è stato pubblicato dal Riformista del 16 dicembre 2008)

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