22 ottobre 2008

Bocconiani d'assalto

La chiusura corporativa e la difesa dei privilegi sono chiavi di lettura utili anche per comprendere i sussulti che tornano a scuotere l’università italiana. Ancor prima che la pantera si risvegliasse, le acque erano state agitate da una ricerca di Roberto Perotti, economista della Bocconi dal curriculum internazionale (L'università truccata, Einaudi, 183 pagine, 16 euro) e da una serie di interventi polemici, sullo stesso argomento, del suo collega Tito Boeri .
Il libro ha l’efficacia del pamphlet e l’anima coriacea del lavoro scientifico. Spiega Perotti che la selezione dei professori è una delle palle al piede dell’istruzione superiore italiana: invece della peer review e del confronto con il mondo, da noi è all’opera il solito meccanismo della fedeltà e della cooptazione. A pagina 22 c’è un grafico sugli intrecci familiari tra commissari e candidati nei concorsi universitari complesso quanto una tavola delle più involute partecipazioni incrociate nella finanza dell’era Cuccia.
Boeri ha scritto nella prima pagina di Repubblica, il giorno della scontata elezione plebiscitaria del rettore della Sapienza (3 ottobre 2008), che il comportamento familista e feudale di Luigi Frati, già preside di medicina (moglie, figlio e figlia diventati professori e aule dell’università utilizzate come cosa propria) è indecente e inammissibile. Negli epicentri del potere baronale, soprattutto a Roma e a Bari (quest’ultimo ateneo particolarmente emergente nelle denunce di Perotti e Boeri), non si riesce a capire perché un uomo di notevole successo mondano, rampollo fortunato della borghesia meneghina dell’università e delle professioni, debba comportarsi come una iena televisiva che irrompe nell’aula (patologia generale) in cui i figli del preside e del direttore del dipartimento intrattengono gli ospiti della loro festa nuziale.
Di fronte ai fatti, alcuni hanno provato a mettere in discussione il metodo di indagine di Perotti, ma non i fatti denunciati da Boeri. Gli altri - la maggioranza, Frati in testa - hanno sapientemente taciuto Il punto, naturalmente, non è prendere le parti degli economisti milanesi, che si difendono da soli e da tribune di impareggiabile risonanza, ma piuttosto mettere in risalto i caratteri peculiari di una reazione corporativa. Un famoso matematico, già protagonista di dure battaglie contro lo strapotere della facoltà di medicina, ha duellato (Corriere della sera, 7 e 8 ottobre 2008) sul corretto uso dei dati Ocse con Perotti, il quale ha replicato alle sue argomentazioni aggiungendo una postilla velenosa: «Il professore Figà Talamanca è ordinario alla Sapienza: perché non si dissocia dalla scandalosa elezione del rettore Frati, invece di disinformare il lettore?» Sorte analoga è toccata ad altri due docenti dell’ateneo romano, gli informatici Mei e Panconesi, assertori dell’ipotesi che la sospetta ricorrenza di cognomi nei ranghi delle università italiane non sia un fenomeno più apprezzabile del tasso di omonimia che si registra nel paese. «Il vostro tempo - hanno scritto Perotti e Boeri nel sito lavoce.info - sarebbe stato molto meglio speso se vi foste dissociati pubblicamente dalla scandalosa elezione del rettore Frati».
Gli obiettori non silenti alla campagna degli economisti milanesi sono tutti della Sapienza o di università meridionali. Ma non si tratta solo di vecchi baroni o giovani clientes. La frattura nella comunità accademica italiana dunque è più geo-politica che cultural-generazionale. I tecnocrati dell’economia globalizzata che vanno in televisione e scrivono nelle prime pagine dei grandi giornali contro gli adepti di una confratenita autarchica e protetta dall’ombrello pubblico, affezionata alla sua costituzione materiale e alla regola del suo cursus iniziatico. La fucina dei cervelli del nord operoso che guarda alle eccellenze europee (Bocconi) contro il mastodonte parastatale e romanocentrico che si adatta a qualunque riforma purché non cambi realmente nulla (Sapienza). E anche una divaricazione nell’intendere i percorsi individuali: l’interventismo brillante, progressista e cosmopolita degli economisti bocconiani contro la concezione dell’accademico potente nella sua cerchia e nella comunità locale ma invisibile nel dibattito pubblico. Come il professor Frati che, quando non organizza feste di famiglia, è un mago del low profile.

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