27 gennaio 2008

Sulle spalle dei giganti

Questo paragrafo di un libro di 26 anni fa, in cui Angelo Panebianco recupera un'intuizione weberiana, sembra scritto per il Partito democratico di oggi: "Il modo in cui le carte si distribuiscono nonché gli esiti delle diverse partite che si svolgono nella fase genetica di un'organizzazione e nei momenti immediatamente successivi, continuano in moltissimi casi a condizionare la vita dell'organizzazione a distanza di decenni. Certamente l'organizzazione subirà poi modificazioni e adattamenti anche profondi interagendo, durante il suo intero ciclo di vita, con i continui mutamenti dell'ambiente. Però gli esiti delle prime 'partite', fuori di metafora le scelte politiche cruciali operate dai padri fondatori, le modalità dei primi conflitti per il controllo organizzativo e il modo in cui l'organizzazione si consolida, lasceranno un'impronta indelebile" (Modelli di partito, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 12-13).

Memoria e diritto

(Questo articolo, scritto con Marina Castellaneta, è apparso nel Sole 24 Ore del 21 gennaio)
Lo sterminio di Srebrenica, nel cuore dell'Europa. La pulizia etnica in Ruanda. La crisi del Darfur, i bambini soldato in Sierra Leone e la guerra civile in Kenya. A più di sessant'anni dalla seconda guerra mondiale e dalla rivelazione al mondo degli orrori dell'Olocausto, che domenica prossima saranno rievocati in tutta Italia con la celebrazione del «giorno della memoria», il mondo è ancora alla ricerca di meccanismi più efficaci per prevenire e reprimere i crimini contro l'umanità. E un limite grave è dato dalla mancata adesione di Paesi importanti alla Corte penale internazionale.
Negli ultimi decenni uno dei cardini del diritto internazionale - la «giurisdizione domestica», che poneva gli Stati al riparo dalle ingerenze umanitarie - si è affievolito dando spazio a norme condivise per la protezione giuridica degli individui e dei gruppi minacciati per ragioni politiche, etniche e religiose.Con il consolidamento di regole e di diritti, si è diffusa l'esigenza di creare strutture permanenti e precostituite per reprimere gli illeciti internazionali conciliando la punizione dei responsabili di crimini efferati con le esigenze del giusto processo. Con l'obiettivo di cancellare l'impunità e di accertare le responsabilità individuali, anche dei capi di Stato. La giustizia come strumento della memoria, per mettere nero su bianco che gli uomini ridotti alla fame nei lager balcanici non vanno dimenticati. Le deportazioni e gli stupri etnici, il volto dei familiari delle vittime di Srebrenica, hanno dato la spinta alla comunità internazionale per istituire organi di giustizia penale competenti a giudicare gli autori di crimini di guerra, contro l'umanità, di genocidio.
Già a Norimberga si era fatto un primo passo. Forse una giustizia dei vincitori sui vinti, ma per la prima volta la comunità internazionale reagì nelle aule giudiziarie e punì i colpevoli. Poi gli Stati hanno fatto tesoro degli errori del passato e, istituendo i tribunali penali internazionali per processare gli autori dei crimini, hanno coniugato, grazie all'Onu, l'esigenza di punire i colpevoli con il rispetto delle regole sul giusto processo. Cancellando la pena di morte tra le possibili sanzioni.
I modelli prevalenti di giustizia penale internazionale si sono orientati verso organismi istituiti con deliberazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite o con accordi tra Onu e governi nazionali. Alla prima categoria appartengono le corti che si occupano dei crimini commessi nella ex Yugoslavia e in Ruanda, impegnate nel tentativo di riparare alla tardiva reazione della comunità internazionale, in una partita ancora aperta, che vede alcuni dei responsabili delle atrocità commesse nei Balcani ancora latitanti. Nella seconda rientrano tribunali come quello per la Sierra Leone, che processa l'ex presidente liberiano Charles Taylor, o le Camere straordinarie cambogiane, che trent'anni dopo l'uscita di scena di Pol Pot fanno i conti con uno dei regimi più sanguinari della storia.
Dieci anni fa, a Roma, forse la novità più rilevante, con la firma dello Statuto della Corte penale internazionale, con sede all'Aia, frenata dalla mancata adesione di Stati Uniti, Russia, Cina, preoccupati che l'iniziativa sia il grimaldello per una giurisdizione influenzata da pregiudizi geopolitici. Il primo tribunale internazionale senza confini di tempo e di luogo, se non quelli dovuti alla sua natura pattizia, non vincolante per chi ha scelto di rimanerne fuori. A oggi sono 105 i Paesi che hanno aderito.
Anche i tribunali nazionali provano a punire gli autori dei crimini ovunque commessi. Tra gli altri, Belgio, Spagna e Germania hanno avviato procedimenti penali sulla base del principio della giurisdizione universale, che consente a uno Stato di processare gli autori di crimini di diritto internazionale senza alcun legame giurisdizionale con i fatti, con chi li ha commessi o con le vittime. Perché con i crimini di guerra o contro l'umanità è l'intera comunità internazionale che viene lesa. E che affida le sue speranze ai Paesi in cui la democrazia e i diritti umani hanno già diritto di cittadinanza

03 gennaio 2008

Scrivimi

Stamattina è arrivato un biglietto imbucato il 21 dicembre all'Eur. Cinque chilometri in 13 giorni. Ma al Financial Times, che lo intervista omaggiandolo di una gigantesca fotografia in posa pensosa, l'amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi dice che Fortune ha inserito la sua azienda tra le dieci meglio attrezzate al mondo per la logistica, che Cisco le ha appena concesso il "best corporate IP network award" e che se non fosse per quei plantigradi assopiti tra Palazzo Chigi e via XX settembre la privatizzazione sarebbe già cosa fatta.